CARGO

Pastel beach

Photo:  © Paloma Cabeza

Photo: © Paloma Cabeza

La notte è stata terribile.

Dopo avergli sparato, mi sono liberato della pistola e del cellulare, per non farmi rintracciare. Mi sono perso per le campagne, senza sapere dove andare.

Credo fossero le due di notte, ormai. A un incrocio, ho visto i cartelli: dicevano Salerno, centro e porto.

“Devo scappare”, ho pensato.

Avevo in testa una gran confusione, sapevo solo che i camorristi mi avrebbero fatto fuori, che dovevo nascondermi.

Il porto era deserto, ma dovevo stare attento alle guardie che sorvegliano i docks. Allora ho abbandonato la macchina in un parcheggio abbandonato, un posto da camion e puttane.

Ho camminato, non so quanto: la rete era alta, con il filo spinato sopra, impossibile da attraversare. Piangevo, impaurito, ma poi ho trovato un cancello aperto: dei camion andavano avanti e indietro, non c’era nessun altro.

Sono corso dentro, più veloce possibile, col terrore che ci fossero le telecamere.

Fra i docks, non c’erano posti dove nascondersi. Troppa luce dappertutto, quei dannati porta container che passavano di continuo.

Poi ho notato la gru, sono arrivato ai suoi piedi, ho visto la cabina lassù in cima, un posto dove potevo rifugiarmi.

Mi sono arrampicato, ma c’era vento, la scala era scivolosa. Ho mancato un gradino, rischiato di cadere, non so come sono arrivato in cima.

La cabina era fredda, scomoda, ho dormito solo poche ore.

L’alba non mi ha aiutato, ho solo pensato che con la luce mi avrebbero trovato ancora prima.

Sono sceso, in fretta. Davanti alla gru c’era questa nave cargo, la Sedna. Aveva un mondo disegnato sul fumaiolo, ho pensato che mi avrebbe portato lontano, per salvarmi, non mi interessava dove.

Ho aspettato il momento buono, sono salito di corsa. Mi sono nascosto in una stiva, al buio, finché non ho sentito che si muoveva.

Ma avevo fame, sete. Un marinaio enorme mi ha trovato.

Alla stazione dei Carabinieri, Antonio raccoglie la deposizione sul computer.

Il ragazzo seduto di fronte a lui avrà appena vent’anni, sembra che non abbia dormito da giorni, e non solo quella notte. Ha gli occhi da preda braccata, i capelli sconvolti, un lato del volto livido: il marinaio della Sedna non è stato morbido.

Riflette, lo fissa a lungo, indeciso, in silenzio. Il giovane si muove a disagio sulla sedia.

«A quanto pare, Gaetano Morabito, quello a cui ha sparato, è stato ferito solo in modo leggero. Nessuno ha sporto denuncia. Morabito è un pregiudicato, ma negli ultimi tempi riga dritto: i miei colleghi di Cava dei Tirreni me l’hanno confermato. Per noi si tratta solo di una rissa da bar, dove nessuno si è fatto male. Anche il Capitano della Sedna non ha sollevato problemi, ha detto che gli sono capitati altri clandestini.»

Antonio fa una pausa, prende la decisione.

«È libero di andare. Ma si tenga a disposizione, non si allontani dalla Provincia.»

Sguardo incredulo, ma un po’ più sereno.

«Davvero? Posso andarmene? Grazie, Maresciallo. Potrebbe chiamare mio padre? Ho perso il telefono.»

«Certo, non c’è problema.» Il ragazzo chiama, poi Antonio lo saluta in modo formale, serio, stringendogli la mano quando se ne va.

Si mette a studiare le carte del prossimo caso, concentrato, dopo una ventina di minuti lo ha già dimenticato.

All’improvviso salta sulla sedia per la sorpresa: in strada esplodono due colpi di pistola.

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